Diciamocelo francamente: è da un po’ che in rete se ne è iniziato a parlare , quasi dieci anni ormai, anche se, come al solito, in Italia lo abbiamo imparato ad usare in ritardo rispetto al resto del mondo. L’ormai plurimiliardario Zuckerberg , con la sua faccia da bravo ragazzo triste della porta accanto , ha dimostrato inequivocabilmente una gran maestria con la sua creazione : ha spiazzato i suoi ambiziosi compagni di università , specialmente quelli di area umanistica e psicanalitica, riesumando il vecchio “farsi i cazzi degli altri” con un subdolo restyling a base di voyeurismo, egotismo e narcisismo, tanto ben assortito da non accorgersi di esso finché non lo si è digerito da un pezzo. Eppure, già da qualche tempo, qualcosa non va. Almeno così si mormora.
Facebook arriva in Italia in punta di piedi dopo il 2004; come avversario , almeno fino al suo declino , il vecchio Myspace è ancora troppo forte per cedere i passi a quella scialba grafica aziendale azzurra e bianca , così democraticamente yankee e priva di personalità. Ve li ricordate i profili su Myspace? Erano tutti diversi; potevi personalizzarli come volevi e a nessuno importava troppo se ,come wallpaper, sceglievi il culo di Marisa Laurito , la foto della lista della spesa o Hello Kitty che ti guarda come se si fosse calato svariate ecstasy. Insomma non c’erano censori e controlli di contenuto: potevi trovare la merda e i fiori senza che nella tua vita reale subentrassero stati d’ansia, rotture di coglioni e deliranti momenti di aggressività verso il prossimo, magari proprio il tipo che ti ha chiesto l’amicizia due giorni prima; sembrava una persona così carina e invece ,adesso, ti ha esaurito con i suoi gattini che imprecano affetto dal gattile pubblico . Odio i gatti , l’ unica cura che potrei riservare loro sarebbe quella di farli giocare con i miei due mastini napoletani.
Ultimamente un certo malessere striscia non appena ci colleghiamo al network. La nostra vista è letteralmente assalita da decine e decine di post e condivisioni di stato di persone che non hanno nulla a che fare con noi e la nostra vita; chi sono? dove le ho conosciute? Dopo quante bevute quello mi ha chiesto l’amicizia? Aveva offerto lui? Il tutto lentamente si ricompone nella nostra memoria ; ci accorgiamo di chi abbiamo intorno o, semmai, chi abbiamo accolto fra gli “amici”.
Già, perché su Facebook siamo tutti “amici” e ammesso di non voler perdere il carattere a capire dove sono i menù a finestra per le impostazioni della privacy ( esiste ancora davvero?) tutte quelle facce, quelle foto e quei nomi hanno accesso alla nostra vita “virtuale”, così come noi decidiamo di filtrarla al pubblico. Va benissimo! Adoro socializzare, scoprire gente diversa , scambiare due pensieri di senso concluso, magari partecipare ad eventi o feste interessanti. Mi ritengo una persona piuttosto trasparente e credo che nessuno si scandalizzerà se ogni tanto mi lascio andare a qualche stronzata. L’essere umano, ad ogni età, conserva sempre i tratti del bambino che è stato, lo dice anche Eric Berne e la sua terapia transazionale che va tanto di moda negli Stati Uniti.
Eppure i saggi ci hanno da sempre insegnato che il bene non sta tanto nel mezzo in sé ma, piuttosto, nell’uso che si fa di esso.Se voglio stordirmi durante uno spostamento in metropolitana, seguendo l’inconscio feticismo erotico che il mio “amico” parrucchiere nutre per le sue spazzole e le sue piastre per capelli, posso farlo con il mio Iphone. E’ così un bravo ragazzo, sembra sensibile, sempre pronto alla risata. Quando mi avrà davvero fatto cascare le palle avrò tre possibilità : cancellarlo dagli amici con il rischio che alla prossima tintura usi soda caustica o, più democraticamente, spedirlo nel limbo del “Nascondi” e decidere quale sarà la sua pena. In fin dei conti un giorno potrebbe postare qualcosa di diverso, magari uno di quegli aforismi prefabbricati che si trovano a migliaia sulle pagine di facebook; sono adatti ad ogni momento, specialmente quando devi postare qualcosa sul tuo wall per non sentirti troppo inattivo rispetto agli altri ed attirare un po’ di attenzione su di te. Per questa volta la parrucchiera è salva.
Ormai Facebook viene usato da tutti e a tutte le età, nei modi più vari. Dalla bambina di 8 anni che imita la sorella teenager postando self-pics patinate con l’ausilio di Instagram sul suo profilo aperto , fino al padre divorziato che , sotto consiglio dello psicanalista, decide di rinverdire il proprio narcisismo dinanzi agli occhi morsicanti delle colleghe d’ufficio. La famosa frase di Andy Warhol “Ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità” sembra essersi avverata e di quarti d’ora, se non di vere e proprie giornate di pseudo-celebrità, siamo divenuti via via sempre più avidi e dipendenti. Con il dilagare degli smartphones ( Iphone, Galaxy, Lumia ecc.) si posta di tutto, in qualsiasi momento della nostra giornata. D’altronde , come diceva Jean de La Bruyère nei suoi “Caratteri” :“Agli uomini non piace ammirare; vogliono piacere: cercano meno di essere istruiti e perfino divertiti che di essere apprezzati e applauditi; e il piacere più sottile è fare quello altrui.”
La dialettica ossessiva e “leccaculista” dei “Mi piace” è divenuta dogma comportamentale, quasi una questione di savoir fare , specialmente fra i giovani e giovanissimi. Non metti “mi piace” alle canzoni plastificate di Katy Perry che posto continuamente sulla mia pagina? Non sarai mica fan di Lana del Ray? Controlliamo subito! E così via, fino a consumarsi reciprocamente nella più vacua e menzognera autocelebrazione di sè stessi e di ogni feticcio consumistico.
Un po’ alla volta gli affetti iniziano ad assottigliarsi perdendo sapore, la curiosità autentica e salutare che provavamo verso gli individui reali vira verso l’apatia quando non sfocia nell’antipatia vera e propria. Con centinaia o migliaia di “amici” su Facebook capita sempre più spesso di incontrare adolescenti, giovani e adulti, pronti a confessare un malessere, un senso di disagio, incomprensioni e solitudini sempre più forti.
Siamo ancora sicuri che l’illusione di metterci a nudo, di “condividerci”, ognuno a suo modo e discrezione – individualisticamente – sia la via migliore per socializzare davvero , comprenderci e conoscerci? Quanto della nostra bulimica autoreferenzialità, del nostro narcisismo e protagonismo siamo disposti a sacrificare prima di perdere completamente il piacere dell’altro? Ormai non siamo più disposti a perdere il nostro “prezioso” tempo; Facebook, assieme alla società odierna, ci insegna l’uso strumentale del prossimo. Capiamo quasi subito, giocando d’anticipo sulla realtà, se una persona fa o no al caso nostro. Il supermercato umano delle immagini stereotipate ci consegna le individualità avvolte nel loro involucro scintillante e istantaneo : dobbiamo soltanto scegliere quelle che sposano i nostri gusti.
Tuttavia qualcosa sta cambiando . Lentamente ,step by step, il buon senso e la necessità di contenuti realmente utili e costruttivi inizia qua e là a far capolino , timidamente, anche su Facebook. Un certo interesse verso il sociale, l’ambiente, l’arte e la cultura fa nascere nuove pagine in cui individui di buona volontà mettono da parte la propria compulsività egotista per dar spazio ai loro lati meno deteriori. Indubbiamente lo zoccolo duro dell’autismo narcisistico, in tutte le sue terribili declinazioni, resta a farla da padrone eppure, sempre più spesso, impariamo quasi a meravigliarci: tutte quelle schermate stracolme di veline in erba, di giovani maschi intenti a mostrare i propri fisici in pose più o meno ammiccanti, smorfiette glamour , creste da calciatore ed altre attitudini più o meno truzze vanno diminuendo. Non avremo fatto il pieno?
La speranza ,per alcuni, è il preludio della disillusione. Non ci resta che attendere senza eccessiva fiducia, continuando a fare dei mezzi a nostra disposizione l’uso migliore per le nostre esistenze.