Per uscire dalla crisi sappiamo bene cosa fare: ridurre il debito, tagliare la spesa pubblica, incentivare la flessibilità del lavoro agevolando i licenziamenti, aumentare il ruolo dei privati in ogni settore dell’economia. Sappiamo tutte queste cose ma non ci è chiaro perchè le sappiamo e quali fondamenti abbiano. Bisogna fare così e basta, perchè lo dicono i più autorevoli economisti, i più grandi quotidiani, quasi tutti i politici quale che sia il partito di riferimento, persino un buon numero di sindacalisti.
Viene da chiedersi da dove venga questa straordinaria unanimità, nonostante la Grande Crisi abbia evidenziato la totale mancanza di ragionevole solidità delle suddette idee. Basti pensare che sono stati gli stessi glorificati mercati a disastrare l’economia mondiale, tramite il processo di finanziarizzazione, avviato nei primi anni 80, per cui la produzione di denaro per mezzo di denaro, insieme con la creazione di denaro dal nulla per mezzo del debito, hanno preso largamente il sopravvento, quali criteri guida dell’azione economica, rispetto alla produzione di merci per mezzo di merci.
Luciano Gallino propone una spiegazione sorprendente nella sua semplicità allo straordinario successo delle teorie neoliberiste. Il sociologo torinese nel saggio-intervista “La lotta di classe dopo la lotta di classe” (a cura di un’altra sociologa, Paola Borgna) evidenzia come a partire dagli anni 80 sia stata portata avanti un nuovo tipo di lotta di classe, quella condotta dalle classi dominanti per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere che erano stati in qualche misura erosi nel trentennio precedente. Vi è un fatto storicamente comprovato: tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine degli anni settanta ( “i gloriosi Trent’anni”), la classe operaia, e più in generale la classe dei lavoratori dipendenti, ha ottenuto notevoli miglioramenti della propria condizione di vita e decine di milioni di persone hanno avuto per la prima volta un’occupazione stabile e relativamente ben retribuita.
Poi verso il 1980 è partita una vera e propria controrivoluzione: un “grande balzo all’indietro” favorito dalle politiche neoliberiste adottate in primis da Margaret Thatcher e Ronald Reagan, seguiti a ruota dai governi degli altri paesi industrializzati. Le classi dominanti si sono mobilitate e hanno cominciato loro a condurre una lotta di classe dall’alto per recuperare il terreno perduto. Si è puntato innanzitutto a limitare i salari reali, ovvero i redditi da lavoro dipendente, a reintrodurre condizioni di lavoro più rigide, a far salire nuovamente la quota dei profitti sul Pil che era stata erosa dagli aumenti salariali, dagli investimenti, dalle imposte nel periodo tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni 80.
La deregolamentazione dei mercati finanziari, anch’essa intrapresa a partire dagli anni 80, ha dato vita ad un fenomeno altrettanto devastante: la “finanziarizzazione” del mondo.
Il capitalismo tradizionale basato sulla produzione di merci ha subito una mutazione trasformandosi in capitalismo finanziario (o finanzcapitalismo), grazie agli svariati interventi deregolativi atti a togliere ogni vincolo alla circolazione dei capitali, all’attività speculativa delle banche e alla connessa produzione di strumenti finanziari sempre più complessi.
Gallino fa poi notare come si sia andati alla ricerca di sempre nuovi campi della vita sociale, dell’ esistenza umana e della natura da trasformare il più rapidamente possibile in denaro: dalle pensioni all’istruzione, dalle materie prime ai prodotti alimentari. Insomma l’economia reale risulta ormai relegata in secondo piano e le grandi industrie non trovano più proficuo investire in ricerca e sviluppo: “profitti, utili, guadagni, dividendi vengono spesi in modi socialmente improduttivi, con il doppio effetto perverso di accrescere allo stesso tempo la ricchezza privata e la povertà pubblica”.
Infine Gallino riprende l’idea di “contromovimento” elaborata da Karl Polanyi nel secolo scorso, utile per cercare di capire quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro. “Il contromovimento – afferma il sociologo torinese – è formato da interventi, reazioni diffuse, riforme che a un certo punto paiono indispensabili: sono tutti processi che emergono al fine di riequilibrare il peso dell’irrefrenabile dispiegamento dell’economia […] Questo contromovimento, che si oppone al movimento di eccessiva deregolamentazione dell’economia può prendere due strade. La strada di sinistra, ovvero di tipo socialdemocratico nel senso forte che il termine aveva agli inizi del Novecento. L’altra strada è quella che porta a qualche forma di Stato autoritario: un regime che, a prezzo di tagli incisivi non solo ai bilanci ma al processo democratico, promette di risolvere dall’alto i problemi che assediano la vita quotidiana di milioni di persone”.
Il contromovimento autoritario ha già inviato segnali importanti in Europa. Basti pensare a tutte quelle formazioni politiche di estrema destra che hanno raggiunto un considerevole peso elettorale in vari paesi: Alba Dorata in Grecia, i Veri Finlandesi in Finlandia, il Fronte Nazionale in Francia solo per citare i più famosi.Al momento – afferma Gallino – non si intravedono forze politiche progressiste in grado di riprendere gli antichi ideali socialdemocratici adattandoli ai nostri tempi.
E conclude: ” Le poche formazioni politiche che in astratto parrebbero avere la vocazione per raccogliere il messaggio e tradurlo in un numero determinante di voti, quali il Pd in Italia, appaiono tuttora decisamente al di sotto della capacità di farlo”.